sabato 18 febbraio 2012

CHIANTI , UN VINO DA DIFENDERE E PROTEGGERE:LE REGOLE

Qualche regola già dal 1444 era stata data dagli organismi della Lega del Chianti per difendere questo vino nel buon nome e nella qualità. Ma fu il Granduca Cosimo III che affrontò il problema in maniera organica con un bando del 1716: furono fissati i termini di produzione e di vendita, ma ne fu tutelata anche la denominazione stabilendo i confini dei territori delle varie produzioni e prevedendo pesanti sanzioni per i casi di contraffazioni e traffico clandestino. Un bando che precorreva i tempi e che garantiva i consumatori.
Fondamentale fu sotto questo aspetto l'azione del Barone Ricasoli che elaborò un vero e proprio codice del Chianti, un vino che - come scriveva nel 1870 al professor Studiati di Pisa - «riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l'amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all'invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all'uso della tavola quotidiana». Oltre a indicare le uve, il codice Ricasoli dà le regole per la lavorazione, stabilendo che i raspi dovevano essere separati dalle vinacce, i tini per la fermentazione dovevano essere chiusi, la svinatura rapida e che successivamente "si stringono le vinacce, e il vino che n'esce si riunisce al primo in botti, nelle quali prosegua la fermentazione".
Nel 1878 il Chianti con le regole del barone Bettino Ricasoli trionfò all'Esposizione di Parigi.

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