sabato 18 febbraio 2012

COME MANGIAVANO E BEVEVANO GLI ETRUSCHI

I veri progenitori della cucina toscana furono gli Etruschi che presso i Romani ebbero fama di grandi bevitori dediti ai piaceri della mensa. Queste usanze furono ritenute da alcuni scrittori latini fra le cause della loro decadenza.
La terra d'Etruria era molto fertile e produttiva: stando alle testimonianze fornite sia da reperti archeologici che da testi latini, era coltivata soprattutto a frutteti, legumi e cereali, tanto che proprio questa terra sarà in grado di rifornire di grano Roma nei difficili momenti di carestia.
La cucina degli Etruschi si basa dunque innanzi tutto sul farro la cui minestra è assai diffusa in tutte le classi sociali, così come basilare è l'uso dei legumi come lenticchie, ceci, fave. Ma i resti faunistici giunti fino a noi ci testimoniano anche il consumo nell'alimentazione della carne di bovini, ovini, suini e cacciagione, soprattutto di cervi e cinghiali che venivano cucinati alla brace su treppiedi e graticole o in grandi calderoni di bronzo e che erano ovviamente riservati alle classi più abbienti, servizi soprattutto nei banchetti, vere e proprie cerimonie che testimoniavano l'appartenenza sociale. Su queste tavole non mancava neanche il pesce, visti i ritrovamenti di ami e di reti; ma certamente questo alimento era meno diffuso rispetto alla carne perché la disponibilità era decisamente inferiore.
Diffusissimo invece era l'uso del latte e dei suoi derivati, visto che l'allevamento degli ovini, caprini e bovini era intenso, specialmente nella parte meridionale dell'Etruria.
Altresì anche le classi meno abbienti potevano arricchire la propria alimentazione con verdura e frutta che nella buona stagione veniva seccata e perfino esportata verso la Gallia. I condimenti erano prevalentemente di origine animale, ma a partire dal secolo VII a.C. veniva prodotto anche l'olio d'oliva che era usato principalmente nell'industria degli unguenti e dei profumi, ma anche nella preparazione dei cibi.
La bevanda di base, l'unica di cui ci sono giunte testimonianze, è il vino, proveniente dalla Grecia nel corso del VIII secolo a.C., ma già dal secolo successivo prodotto in tutta l'Etruria e perfino esportato in varie regioni del Mediterraneo. Un vino che non poteva essere bevuto pretto, perché fortissimo; doveva essere mescolato con abbondante acqua usando grandi vasi dalla bocca larga che consentissero di attingerlo agevolmente. Era l'unica bevanda riservata ai simposi e ai banchetti e veniva servito da anfore o brocche in coppe di varia forma da numerosi schiavi che accudivano i commensali in uno scenario piuttosto ricco, rallegrato da musica e danzatori in cui erano ammesse anche le donne (che invece non erano ammesse presso altri popoli, ad esempio presso i Greci). La partecipazione ai simposi e ai banchetti guadagnò una certa cattiva fama alle donne etrusche, soprattutto di forti e smodate consumatrici di vino.
Usanze, dunque, e cucina molto evolute sono quelle degli Etruschi che molto insegnarono ai Romani e di cui ancora oggi rimane nella terra di Toscana qualche retaggio, foss'altro l'uso sempre più diffuso (anche grazie alla moderna dieta mediterranea) dei cereali e della ormai diffusissima e apprezzatissima minestra di farro.

CHIANTI : UNA TERRA UN VINO

Il Chianti è una regione storico-geografica, simbolo della civiltà contadina toscana, che comprende le colline che sorgono fra i Monti del Chianti a ovest e i fiumi Arno, Ombrone e Arbia a est; è quindi il territorio che abbraccia la parte meridionale della provincia di Firenze e la parte settentrionale di quella di Siena. Zona collinare con un terreno roccioso su cui sembra un miracolo che su un sottile strato fertile possano essere rigogliosi, oltre al bosco, la vite, l'olivo e l'orto. Una regione geografica che ha una sua storia perché fu terra di conflitti fra Siena e Arezzo e fra Firenze e Siena, terra di santi e di combattenti, di grandi artisti, di contadini e signori, terra di colline, di poggi, con fattorie e ville, castelli e pievi, abbazie e torri mozze, borghi di pietra e severi palazzotti, terra che ha dato vita da circa cinque secoli a uno dei vini più famosi d'Italia.

CHIANTI , UN VINO DA DIFENDERE E PROTEGGERE:LE REGOLE

Qualche regola già dal 1444 era stata data dagli organismi della Lega del Chianti per difendere questo vino nel buon nome e nella qualità. Ma fu il Granduca Cosimo III che affrontò il problema in maniera organica con un bando del 1716: furono fissati i termini di produzione e di vendita, ma ne fu tutelata anche la denominazione stabilendo i confini dei territori delle varie produzioni e prevedendo pesanti sanzioni per i casi di contraffazioni e traffico clandestino. Un bando che precorreva i tempi e che garantiva i consumatori.
Fondamentale fu sotto questo aspetto l'azione del Barone Ricasoli che elaborò un vero e proprio codice del Chianti, un vino che - come scriveva nel 1870 al professor Studiati di Pisa - «riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l'amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all'invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all'uso della tavola quotidiana». Oltre a indicare le uve, il codice Ricasoli dà le regole per la lavorazione, stabilendo che i raspi dovevano essere separati dalle vinacce, i tini per la fermentazione dovevano essere chiusi, la svinatura rapida e che successivamente "si stringono le vinacce, e il vino che n'esce si riunisce al primo in botti, nelle quali prosegua la fermentazione".
Nel 1878 il Chianti con le regole del barone Bettino Ricasoli trionfò all'Esposizione di Parigi.

DOVE IL VINO POTEVA CHIAMARSI CHIANTI

A partire dal XIX secolo la terra del Chianti dal punto di vista vinicolo incluse progressivamente le valli della Pesa e dell'Arbia e quasi tutta la val di Greve in quanto le loro caratteristiche ambientali non erano dissimili da quelle del Chianti storico e producevano un vino altrettanto pregiato.
Il riconoscimento ufficiale fu sancito con una legge del 1932 che inserì nel territorio di produzione tutta la Toscana centrale: un'area suddivisa in sette sottozone (Classico, Colli aretini, Colli fiorentini, Colline pisane, Colli senesi, Montalbano, Rufina) che avevano l'obbligo di produrre il vino con i tradizionali vitigni chiantigiani (Sangiovese, Canaiolo, Malvasia a cui nel frattempo si era aggiunto anche il Trebbiano) e mantenere una qualità costante. Tali confini - ufficializzati geograficamente dalla carta dell'Istituto Geografico militare di Firenze - furono ribaditi nel 1967 con una legge denominata "Disciplinare del Chianti" che creò migliaia di ettari di vigneto specializzato e fissò una rigida regolamentazione che definiva la gradazione alcolica e l'invecchiamento necessari per ottenere la qualifica "Vecchio" o "Riserva" per i vini delle varie zone. Si istituiva inoltre la denominazione di origine controllata (Doc) estesa successivamente ad altri territori: Montespertoli, Cerreto Guidi, Gambassi, Agliana, San Miniato, tutti di antica tradizione vinicola; ma ad essi non era concesso aggiungere sull'etichetta l'indicazione di provenienza del loro "Chianti".
Il vino del Chianti classico fino al 1991 si fregiava del marchio "Gallo Nero", ma dopo varie vicende giudiziarie una sentenza ne sancì il diritto all'azienda vinicola americana "Gallo Winery" di Ernest e Julio Gallo. Nacquero così le denominazioni "Chianti classico" e "Chianti geografico" (quest'ultima scelta da un gruppo di fattorie chiantigiane); anche il marchio "Putto" (usato al di fuori del Chianti classico) mutava la sua denominazione in "Colli fiorentini".
Un punto fermo nei territori nel Chianti fu stabilito - anche se non certo in modo indolore - in un convegno svoltosi nel 1997 in cui fu ribadito che il Chianti era formato da tutti i territori di Radda, Castellina, Gaiole, Greve, mentre Barberino Valdelsa, San Casciano Val di Pesa, Castelnuovo Berardenga ne vedono escluse ampie zone e Poggibonsi ne è completamente estromesso.
L'appartenenza alla regione del Chianti e i suoi confini è dunque un problema sempre aperto e discusso e sta a testimoniare il fascino indiscusso di questa terra, oggi tanto ambita dagli stranieri, tedeschi e americani soprattutto, che la vivono con profondo rispetto.
Per quanto riguarda il vino Chianti, bisogna dire che oggi è decisamente diverso da quello regolamentato dal Barone di ferro: non solo la produzione massima rispetto ai vigneti è stata quasi dimezzata, ma, eliminate le uve bianche e ridotto il Canaiolo, oggi si valorizza il Sangiovese; la gradazione alcolica ha raggiunto i 12° e 12,5° per la riserva e l'invecchiamento nelle migliori aziende mediamente raggiunge - prima dell'immissione sul mercato - i ventiquattro mesi.
L'aroma è intenso, dal profumo di mammola che, spiccato nel Chianti classico, si va progressivamente affinando con l'invecchiamento. È un vino vivo e rotondo se governato nell'annata, che diviene col tempo morbido e vellutato.
Un vino che di questa terra è un simbolo, un vanto, una ricchezza storica.

CHIANTI " LA VINIFICAZIONE "

Sono molto antiche, precisamente del 913 d.C., le pergamene ritrovate nella chiesa di Santa Caterina a Lucignano dove si parla di vinificazione in Chianti. Abbiamo notizia che nel 1023 a Grignano nella giurisdizione di Firenze furono concesse terre lavorative e vignate a un colono impegnato a migliorarle. E negli stessi anni i signori di Brolio - i Firidolfi da cui discesero i Ricasoli - fecero piantare le viti sulle pendici sottostanti al loro castello.
Nell'epoca del sorgere dei Comuni, il commercio del vino fu un'importante fonte di ricchezza, tanto che a Firenze nella seconda metà del Duecento, fra le arti minori fu fondata quella dei Vinattieri accompagnata dall'apertura di sempre nuove osterie dove gustare e punti vendita dove commerciare il vino. Il consumo del vino in questi anni non è più limitato alle tavole signorili, ma entra nell'uso popolare, presente in tutte le mense, considerato un alimento indispensabile, anche quando ci si doveva accontentare di un acquarello ottenuto dalla seconda e terza spremitura dell'uva; era un integratore di un cibo spesso scarsamente energetico e insufficiente.
La quantità in cui veniva consumato il vino in ogni ambiente sociale era - a partire dal XIII secolo - in costante aumento ovunque, nonostante fosse soggetto a tasse sempre più alte e quindi a continui rincari.
Ma il termine Chianti comparirà solo alla fine del XIV secolo: prima il vino toscano era denominato vermiglio se rosso e vernaccia se bianco. Certo è che già nel catasto fiorentino del 1427 venivano rigorosamente distinti da tutti gli altri vini toscani quelli prodotti nel "Chianti con tutta la sua provincia" perché giudicati superiori (a parte i bianchi di alcune località del Valdarno superiore). Anche prima di chiamarsi Chianti, del resto, il vino prodotto in questa zona era rinomato per un processo di vinificazione inventato poco dopo la metà del Trecento da due fiorentini e che consisteva nell'aggiungere al vino appena svinato una piccola percentuale di uva passita e di farlo rifermentare per ottenere un vino purissimo. Erano previsti inoltre albume d'uovo, mandorle amare e sale per chiarificare, pepe e petali di rosa per conferire un bel colore.
Un decisivo passo nel campo della tecnica produttiva avvenne grazie agli studi sulla vinificazione di Giovanni Cosimo Villifranchi che ci lasciò utili notizie nella sua opera Oenologia toscana (1773). Ci informa che "l'uva deve essere in buona parte Canaiolo nero con qualche quantità di San Gioveto, di Mammolo e di Marzimino", precisando le eventuali sostituzioni, il "governo" per il quale si usava il mosto sostituito, negli anni in cui il vino risultava troppo aspro o di colore troppo intenso, con il Canaiolo bianco o col Trebbiano perché il vino doveva essere "di un color di rubino molto pieno".
Precisazioni necessarie perché - scrive il Villifranchi - "molti per sete di guadagno e per non disdire le richieste tagliarono il vino Chianti con vino d'altri luoghi", tanto che fu necessario prendere la saggia risoluzione "di non lo spedire altrimenti in botti ma bensì in fiaschi".

CHIANTI "LE LEGGENDE"

A Panzano, a pochi chilometri dal paese, un oratorio testimonia il culto tributato verso la metà del XII secolo in questa terra a Sant'Eufrosino patrono del Chianti, dove sarebbe giunto dalla natia Cappadocia alla fine della travagliata vita spesa per evangelizzare molte genti e anche gli abitanti di questi luoghi dove alla fine della sua vita trovò sepoltura.
A Sant'Eufrosino sono stati attribuiti molti miracoli, avvenuti soprattutto grazie all'acqua miracolosa fornita da un pozzo che sorge in prossimità dell'oratorio e che fino a tutto l'Ottocento fu meta per i pellegrini che giungevano dai più lontani luoghi della Toscana.
Ma se la leggenda di Sant'Eufrosino è molto antica e si è perpetrata negli anni e nei secoli, è pur vero che in questa terra le narrazioni leggendarie hanno trovato origine anche in tempi più recenti. Ricordiamo quella relativa al "Barone di ferro", Bettino Ricasoli (1809-1880), così chiamato per la durezza del carattere che si manifestava sia con i contadini che con i familiari. Fu dittatore in Toscana nel 1859 in nome di Vittorio Emanuele II preparando l'annessione al Piemonte di questa regione e successivamente per due volte ricoprì la carica di primo ministro. Sulla sua morte si racconta che, mentre si stava svolgendo la cerimonia funebre nella cappella di famiglia del castello di Brolio, un forte vento spalancò porte e finestre e rovesciò quattro ceri che stavano agli angoli del catafalco e che immediatamente si spensero. Un fatto che sembrò voluto da forze ultraterrene per significare la scomunica inflitta al barone che si era adoperato per sopprimere alcuni ordini religiosi e per confiscare numerosi beni ecclesiastici. Nel Medioevo infatti il rito di scomunica prevedeva che quattro ceri venissero spenti capovolti violentemente al suolo come segno della perdita della luce divina e della condanna alle tenebre dell'inferno.
Da quel momento lo spettro del barone di ferro cominciò a manifestarsi ovunque a piedi o a cavallo, nel parco e sui bastioni del castello con grandi rumori e fracassamenti.
Per esorcizzare tale presenza fu chiamato un frate cappuccino che richiese una seconda cerimonia funebre durante la quale, mentre la bara portata a spalle si faceva sempre più pesante, nuovamente si scatenarono i venti che si placarono solo grazie a un esorcismo che riuscì a incatenare l'anima del padrone in una macchia poco lontano dal castello. E ancora oggi è lì che il barone - si dice - continua a manifestarsi con latrati spaventosi e rumore di cavalli al galoppo e di ruote di carri.

CHIANTI , IL SUO VINO E GRANDI PERSONAGGI

Molti sono i piatti caratterizzati dall'aroma del vino Chianti che di questa terra è l'elemento dominante, apprezzato in tutti i tempi, certamente a partire dagli Etruschi e dai Romani (anche se quali fossero le caratteristiche di tale vino non è dato sapere). E quando successivamente le invasioni barbariche sconvolsero il nostro paese, in questa zona appartata i monaci benedettini e vallombrosani si dedicarono a trascrivere documenti legati all'agronomia e alla viticoltura e a metterne in pratica le regole, diffondendo questa preziosa cultura, custodita in badie come Coltibuono, Passignano, Poggialvento.
Negli anni, soprattutto dopo il Mille, si intensificò in tutta la zona la coltura "specializzata" della vite, coltivata in forme basse, a filari, spesso protetta da brolii o addirittura dalle mura cittadine per difenderla dai danni del bestiame e dai furti. La toponomastica di alcune strade fiorentine lo dimostra. Via della Vigna Vecchia, via della Vigna Nuova, via Vinegia, Santa Maria in Vigna (successivamente Santa Maria Novella) testimoniano la presenza della vite non solo ai margini ma anche all'interno stesso della città. Vigne molto protette, dunque: gli estranei non vi potevano entrare, i danni che potevano essere provocati da uomini o animali erano duramente puniti, la distruzione poteva addirittura meritare la tortura. E, d'altra parte, il vino era soggetto a una fiscalità pesante e la qualità era pagata in base alle valutazioni del Catasto.
Il vino Chianti è ospitato in molte pagine di personaggi di primo piano che con la terra del Chianti ebbero rapporti.
Michelangelo Buonarroti (1475-1564) che nel Chianti ebbe delle proprietà non risparmia nel suo epistolario elogi al vino Chianti che produceva, beveva e offriva agli amici con grande entusiasmo, tanto che trovò modo di farne dono di un barilotto al papa; e Machiavelli (1469-1527) quando, sospettato di congiura antimedicea, cercò rifugio nei suoi "poveri" poderi del Chianti dalla sua casa, l'Albergaccio in Sant'Andrea in Percussina dove stava scrivendo il Principe, amava recarsi all'osteria a "ingagglioffirsi" (come lui stesso scrive), a bere e giocare, prima di rivestire "panni curiali" per disquisire sui temi della politica di cui fu grande innovatore.
E di Galilei (1564-1642) l'allievo Vincenzo Viviani ricorda che nella sua villa presso Grignano il grande scienziato dimenticava le accuse di eresia dilettandosi "nella delicatezza de' vini e delle uve e del modo di custodire le viti, ch'egli stesso di propria mano le potava e legava nelli orti".
Ma non dimentichiamo Francesco Redi (1626-1698) che pur ponendo al primo posto il vino di Montepulciano che "d'ogni vino è re" tesse le lodi del nostro Chianti con questi versi: «Lingua mia già fatta scaltra / gusta un po', gusta quest'altro / vin robusto che si vanta / d'esser nato in mezzo al chianti?». Un vino definito "maestoso, imperioso" che dal cuore «scaccia senza strepiti ogni affanno e ogni dolore».
Un vino dunque che in qualche modo coincide con la vita, la storia, le tradizioni della sua terra; terra che può farsi vanto di apprezzamenti da parte di grandi personaggi di ieri come di oggi appartenenti a tutte le arti, non ultima la musica. È bello ricordare che proprio la terra del Chianti ha dato vita alla ormai famosissima Accademia Chigiana. Infatti nel 1923 in seguito a un incontro del conte Chigi Saracini con Arrigo Boito, avvenuto nella sua secentesca villa che si trova nei pressi di Castelnuovo Berardenga, nacque la famosa accademia che prese il nome dal padrone di casa e che solo diciannove anni dopo fu trasferita a Siena da dove la sua fama si è diffusa in tutto il mondo.

sabato 11 febbraio 2012

IL VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO

Storia del vino a Montepulciano

Montepulciano e il vino di qualità: un connubio che ha profonde radici storiche e che appare ormai inscindibile.
In questa piccola area del sud - est della Toscana, già caratterizzata dalla straordinaria ricchezza di un patrimonio artistico e paesaggistico in cui si incontrano e si fondono un bellissimo territorio ed una conformazione architettonica del centro abitato rimasta inalterata dal 1580, nascono vini di eccezionale pregio che fanno apparire questa terra quasi come "privilegiata". In realtà il vino, come altri prodotti del lavoro e dell’ingegno dell’uomo, non viene alla luce "per caso" a Montepulciano. Anzi è ormai unanime la convinzione opposta e cioè che solo grazie ad un territorio con queste caratteristiche e ad una cultura, ad una civiltà profondamente sviluppata ed attenta alla tutela ed alla valorizzazione del proprio bagaglio di capacità ed esperienze, poteva nascere una bevanda di pregio come il "Nobile".

La storia di Montepulciano è da sempre intimamente legata alla fama delle sue vigne e del suo vino.
Un' antica leggenda vuole Montepulciano fondata per volontà del re etrusco Lars Porsenna. Si dice, infatti, che egli si trasferì da Chiusi sull'antico colle di Mons Mercurius seguito dagli abitanti di Chiusi che più tardi cambiarono il nome del colle in Mont Politicus.
Fin dalle sue origini remotissime Montepulciano fonde con il vino la sua storia come testimonia una kylix (tazza da vino) a figure rosse di produzione chiusina rinvenuta nel 1868, insieme a numerosi oggetti in bronzo in una tomba etrusca nei pressi del paese toscano. La tazza, infatti, recava la rappresentazione di Flufluns, il Bacco etrusco dio del vino, che gioca insieme ad una menade al cottabo, un gioco in cui il vino era protagonista.

Livio nelle sue "Storie" (V,33), riferisce che i Galli calarono in Italia attratti proprio dal vino di quelle colline che un etrusco di Chiusi, tal Arunte o Arrunte, aveva fatto loro assaggiare per convincerli a varcare le Alpi e vendicarsi così del suo Locumone, per una banale questione di gelosia.

Comunque, il documento più antico riferibile al vino di Montepulciano è del 789: il chierico Arnipert offre alla chiesa di San Silvestro o di San Salvatore a Lanciniano sull'Amiata, un pezzo di terra coltivata a vigna posta nel castello di Policiano. In seguito il Ripetti nel suo "Dizionario storico e geografico della Toscana" cita un documento che risale al 1350 nel quale si stabiliscono le clausole per il commercio e l'esportazione del vino di Montepulciano.
E' comunque documentato fin dall'Alto Medioevo che i vigneti di Mons Pulitianus producevano vini eccellenti e alla metà del 1500 Sante Lancerio, cantiniere di papa Paolo III Farnese, celebrava il Montepulciano “perfettissimo tanto il verno quanto la state odorifero, polputo, non agrestino, né carico di colore, sicchè è vino da Signori” per le tavole dei nobili, appunto, anche se le etichette più remote indicavano semplicemente Rosso Scelto di Montepulciano.
Passando dal periodo medevale al XVII secolo, ricordiamo come Francesco Redi, insigne non solo come medico e naturalista, ma anche come poeta, esaltasse, nel suo ditirambo "Bacco in Toscana" del 1685, con tanta efficacia il vino. Il Redi immagina che Bacco e Arianna elogino i migliori vini della Toscana:

Bella Arianna con bianca mano
versa la manna di Montepulciano,
colmane il tonfano, e porgilo a me.
Questo liquore, che sdrucciola al core,
oh, come l'ugola e baciami e mordemi!
oh, come in lacrime agli occhi disciogliemi!
Me ne strasecolo, me ne strabilio
e fatto estatico vo in visibilio.
Onde ognun che di Lieo
riverente il nome adora,
ascolti questo altissimo decreto,
che Bassareo pronuncia e gli dia fé:
Montepulciano d'ogni vino è Re!

Il poemetto ebbe un grande successo ed arrivò, di corte in corte, nelle mani di Guglielmo III re d'Inghilterra, di Scozia e d'Irlanda. Forse è proprio al Redi e alla celebrità che procurò ai vini toscani con il suo scritto che si deve la predilezione del re Guglielmo per questi vini. Ne è testimonianza il viaggio compiuto nel 1669 da una delegazione inglese nel Granducato di Toscana per procurare alla corte inglese il Moscadello di Montalcino ed il Vino Nobile di Montepulciano.
La storia di questo vino prosegue fra elogi fino all'ottocento, quando ai successi di alcune cantine enologiche in importanti concorsi alla metà del secolo, si affianca il giudizio severo dell'enologo di Sua Maestà Britannica in occasione dell'esposizione di Vienna del 1873, dove si lamenta la presenza di un solo campione di Montepulciano di una mediocrità che rendeva assai dubbia l'importanza degli encomi del Redi.

All'inizio del 1900 il Vino Nobile di Montepulciano sembra qualcosa appartenente al passato, finchè alla prima mostra mercato dei vini tipici svoltasi a Siena nel 1933, organizzata dall'Ente Mostra-Mercato Nazionale dei vini tipici e pregiati, la Cantina Fanetti, una delle aziende ancora attive a Montepulciano, presenta un vino rosso pregiato che ottiene larghi consensi. L'esempio fu seguito da altre aziende e nel 1937 viene fondata una cantina sociale con l'intento di creare una struttura per la commercializzazione del vino prodotto anche dai piccoli coltivatori. La maggior parte del vino prodotto era Chianti; modeste le quantità del Nobile. Oggi, invece, la cantina sociale produce la maggior parte del Nobile imbottigliato.

Negli anni sessanta si assiste al risveglio della vitivinicultura indirizzata soprattutto verso la produzione di Vino Nobile piuttosto che del Chianti. I contributi dello Stato e della CEE, con i quali le aziende hanno riconvertito gli impianti vitati secondo le esigenze dettate dalla DOC (1966), hanno permesso a nuove aziende di entrare sul mercato.

Il riconoscimento come DOCG arriva nel 1980 e il Vino Nobile comincia una nuova vita.
In aggiunta l'istituzione della Doc Rosso di Montepulciano si affianca a quella del Vino Nobile di Montepulciano, distinguendosi da essa unicamente per quanto riguarda resa per ettaro, gradazione alcolica ed invecchiamento, mentre l'area di produzione è la stessa; è data facoltà ai singoli produttori di indirizzarsi ad una delle due DOC, in considerazione dell'esposizione dei terreni, del decorso climatico della stagione e di tutti gli altri elementi che possono rendere più adatto l'impiego delle uve per la produzione dell'uno o dell'altro vino.
Il passato glorioso e l’importanza del legame tra il territorio di Montepulciano, la sua storia e il Vino Nobile sono tuttora gli elementi essenziali per garantire, nel presente come nel futuro, qualità e autenticità a tutto ciò che viene da questa “terra nobile”.

Nobile spot n.7-una tradizione
diretto da Andrea Testini
prodotto da Mediahead

Nobile spot n.2-una passione
diretto da Andrea Testini
prodotto da Mediahead

Nobile spot n.1 - una terra
diretto da Andrea Testini
prodotto da Mediahead

giovedì 2 febbraio 2012

PASSATO E PRESENTE DI DUE FAMIGLIE FIORENTINE " I MAZZEI E I CORSINI"

Il passato
La storia della famiglia Mazzei è strettamente legata non solo a quella della vitivinicoltura in Toscana ma anche a tutta la vita politica e culturale della regione.
I primi documenti riguardanti i Mazzei - originari della zona vinicola di Carmignano - sono dell'inizio del XI secolo.

A quest’epoca risale lo stemma più antico della famiglia, che riporta tre martelli di legno, arnesi tipici dell'arte dei Maestri Bottai e Dogai. È invece nel Trecento che nello stemma appaiono le tre mazze di ferro che vi figurano ancora oggi. Fin dalle loro origini, i Mazzei, svolgono l'attività di viticoltori e partecipano attivamente alla vita mercantile e professionale a Firenze, giungendo a occupare importanti cariche di governo.

Ser Lapo Mazzei (1350-1412), viticoltore a Carmignano e appassionato all'arte del vino, è Notaio della Signoria fiorentina, Ambasciatore e Proconsole dell'Arte dei Giudici e dei Notai. Anche il fratello Lionardo coltiva vigneti a Carmignano, nella proprietà di Grignano, ove produce vino seguendo i consigli del più esperto Ser Lapo.

Ser Lapo Mazzei è autore di un voluminoso e interessantissimo epistolario, realizzato con il grande mercante Francesco Datini. Documento ricco di consigli giuridici ed economici, ma anche agronomici e enologici. La vinificazione, l'acquisto e la conservazione del vino costituiscono negli scritti di Ser Lapo un punto di ricorrente attenzione: "non vi curate della spesa di quel vino, benché egli fosse caro: la bontà ristora" scriveva al Datini nel 1394, con un invito a vincere la sua parsimonia e ad apprezzare la qualità.

Ser Lapo Mazzei è anche considerato il “padre” della denominazione Chianti: a lui si deve il primo documento conosciuto sull'uso della denominazione, apparsa in un contratto commerciale a sua firma, datato 16 dicembre 1398.

"E de' dare, a dì 16 diciembre (1398),fiorini 3 soldi 26 denari 8 a Piero di Tino Riccio,per barili 6 di vino di Chianti ....li detti paghamo per lettera di Ser Lapo Mazzei".
(Archivio Datini)

Primo documento conosciuto sull'uso della denominazione "Chianti" -È alla nipote di Ser Lapo Mazzei, Madonna Smeralda, andata in sposa a Piero di Agnolo da Fonterutoli, che i Mazzei devono la proprietà di Fonterutoli, trasmessa dal 1435 fino a oggi, attraverso 24 generazioni.Altra figura storica di rilievo della famiglia è Filippo Mazzei (1730-1816). Personaggio eccentrico e inquieto, viaggiatore del mondo, intellettuale e studioso, fu invitato dall' amico Thomas Jefferson, futuro presidente degli Stati Uniti, a piantare un vigneto nella sua residenza di Monticello, in Virginia. Vi giunse con un gruppo di vignaioli toscani e realizzò i primi vigneti di quella zona del Nuovo Mondo.

"I thank you for your obliging act of the culture of the wine, and I am happy to hear that your plantation of them is in so prosperous a way"
(George Washington il 1° luglio 1779)

Rimasto in America, Filippo si fece coinvolgere nella vita politica degli Stati Uniti, e le sue idee riguardo all’uguaglianza degli uomini folgorarono Jefferson che ne fece uno dei punti cardine della Dichiarazione d’Indipendenza Americana: “All men are created equal”. Filippo Mazzei è per questo motivo considerato un "American Patriot".
The past
The history of the Mazzei family is closely linked not just to the history of winemaking in Tuscany, but to the political and cultural history of the entire region. The first documents that name the Mazzeis – originally from the winemaking area of Carmignano – date back to the early eleventh century.

The family coat of arms, bearing three wooden hammers, tools emblematic of the cooper’s trade, also dates back to this time. In the fourteenth century, the coat of arms instead displayed three iron maces that still adorn it today. Since the very beginning, the Mazzeis have been winemakers and active participants in Florentine cultural and commercial life, even holding important posts in city government.

Ser Lapo Mazzei (1350-1412), a winemaker from Carmignano, dedicated to the art of making fine wine, was a Notary of the Florence city government and Proconsul of the Art of Judges and Notaries. His brother Lionardo also cultivated vineyards in Carmignano, in the Grignano estate, where he produced wine according to the instructions of his more expert brother, Ser Lapo.

There is a voluminous and quite interesting series of correspondence between Ser Lapo Mazzei and Francesco Datini, the famous Merchant of Prato. The document is rich in juridical and commercial advice and also contains many comments referring to agronomy and oenology.Winemaking, purchasing and storage are recurrent themes in Ser Lapo’sepistles: " don’t concern yourself about the cost of the wine, though it be high: its goodness is restorative.", he wrote to Datini in 1394, inviting him to overcome his parsimony and appreciate its quality.

Ser Lapo Mazzei is also considered the “father” of the Chianti name: he authored the first known document using the denomination, a commercial contract bearing his signature, dated December 16, 1398.

" To be paid, on December 16 (1398), 3 florins, 26 soldi and 8 dinars, to Piero di Tino Riccio, for 6 barrels of Chianti wine....the above pay by letter of Ser Lapo Mazzei ".
(Datini Archives)

First known mention of the term “Chianti” in an official documentIt is the granddaughter of Ser Lapo Mazzei, Madonna Smeralda, who was married to Piero di Agnolo da Fonterutoli, that the Mazzei family owes the ownership of Fonterutoli, passed down from 1435 until today, across 24 generations. Another important historical figure in the family was Filippo Mazzei (1730-1816). An eccentric and restless traveler, intellectually inclined and scholarly, he was asked by his friend Thomas Jefferson, future president of the United States, to plant a vineyard at his estate in Monticello, Virginia. He undertook the journey with a group of vineyard workers and planted the first vineyards in that part of the New World.

"I thank you for your obliging act of the culture of the wine, and I am happy to hear that your plantation of them is in so prosperous a way"
(George Washington, July 1°, 1779 )

Having remained in America, Filippo got involved in the new nation’s political life, and his ideas regarding equality struck Jefferson, who drew from them one of the founding principles of the Declaration of Independence: “All men are created equal”. For this reason, Filippo Mazzei is considered an "American Patriot".
Il presente
Ancora oggi, dopo quasi sei secoli, la famiglia Mazzei - sotto la guida di Lapo, che con i figli Filippo e Francesco conduce le proprietà - si dedica all'attività vitivinicola con un impegno costante e innovativo nel rispetto del territorio.

Mantenere vivi i valori della storia e della tradizione famigliare, declinandoli in funzione delle esigenze di mercato ma anche delle opportunità offerte dalle moderne tecnologie: questo l’obiettivo che si pone oggi la famiglia Mazzei, alla guida dell’azienda.

In questo quadro, si collocano quindi diverse importanti scelte strategiche, come l’adozione dei più moderni sistemi di tutela dell’ambiente (a cominciare da quelli per l’autoproduzione di energia), o, per altro verso, la progressiva creazione di un vero e proprio Gruppo vitivinicolo, attraverso l’acquisizione di aziende vitivinicole nelle due aree considerate più promettenti in Italia: Maremma e Sicilia sud orientale.
Lapo Mazzei Lapo MazzeiFilippo Mazzei Filippo MazzeiFrancesco Mazzei Francesco Mazzei
The present
Today, after almost six centuries, the Mazzei family – under the guidance of Lapo, who oversees the property with the help of his sons, Filippo and Francesco, - still devotes itself to winemaking, with a constant commitment, an eye towards innovation and an abiding respect for the land.

To keep alive the historical and traditional family values, adapting them to the demands of today’s marketplace while examining the opportunities offered by advanced technological applications: this is the objective towards which the Mazzei family are guiding the company.

This is the thinking behind several important strategic moves, such as the decision to adopt the most advanced systems of environmental protection (starting with generating our own energy), or, in another sector, the creation of a true winemaking Group, through the acquisition of vineyards in the two areas widely perceived as the most promising in Italy: Maremma and southeastern Sicily.

Storia

La storia della famiglia Corsini



Credere nel domani, lavorare sodo e anche rischiare quando il mercato richiede intraprendenza. Una lezione tutta fiorentina che i Corsini, giunti in città da Poggibonsi alla fine del 1100, impararono con successo. Prima commercianti e poi banchieri, imboccando spesso anche la carriera politica e religiosa.
Andrea Corsini (nato a Firenze nel 1302 e morto a Fiesole il giorno della befana del 1374), vescovo di Fiesole nel 1373, salì tre secoli dopo all’onore degli altari (Sant’Andrea, 1624) mentre Pietro Corsini seguì da cardinale Urbano V nell’esilio di Avignone, favorendo il ritorno del pontefice a Roma.

All’alba del Quattrocento, la crisi bancaria, provocata dall’insolvenza di Edoardo III, spinse Matteo Corsini a ricostruirsi una posizione in Inghilterra e tornato in Toscana a investire nell’acquisto di terre.
La solidità economica è raggiunta con Filippo e Bartolomeo Corsini che nel Cinquecento aprirono un banco a Londra e organizzarono un servizio postale privato in grado di recapitare le lettere a Firenze in meno di tre giorni. A loro si deve la costruzione dell’enorme patrimonio immobiliare e fondiario protetto attraverso i fidecommessi (forse venendo dalla Gran Bretagna si saranno ispirati al trust per proteggere il grande patrimonio).
Bartolomeno (1622-1685) figlio di Filippo che aveva fatto soldi in Inghilterra e suo figlio Filippo (1647-1705) furono gli artefici del Palazzo Corsini sul Lungarno realizzato nello stile oggi definito Barocco fiorentino. I due Palazzi fiorentini - su Lungarno e in Via del Prato -  segnano, nel corso del Seicento, l’infittirsi dei rapporti della famiglia con il mondo dell’arte. Nella prima metà del secolo fu anche edificata la cappella nella Chiesa del Carmine, dedicata a Sant’Andrea Corsini e prese forma, nel palazzo che domina l’Arno, la Galleria Gentilizia dove confluirono moltissimi capolavori.
L’apoteosi della famiglia ha come data il 1730, quando dopo quattro mesi di Conclave, all’età di 78 anni sale al soglio pontificio, che terrà per dieci anni, Lorenzo Corsini (1652-1740) col nome di Clemente XII. Un mecenate e un uomo colto per la cui scelta furono anche determinanti le qualità e conoscenze in campo finanziario. Lo si ricorda soprattutto come fondatore dei Musei Capitolini e committente della Fontana di Trevi, delle nuove facciate di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore, della costruzione del Palazzo della Consulta a Roma come dei porti di Anzio, Ravenna e Ancona.
Papa Clemente
Uno dei nipoti, Bartolomeo, prediletto del papa, ricoprì la carica di comandante della Cavalleria Romana, fu Viceré di Sicilia e Grande di Spagna.
Con l’Ottocento si moltiplicano gli incarichi politici affidati ad esponenti della famiglia Corsini, prima, durante e dopo la Restaurazione fino a Tommaso Corsini, deputato del Regno d’Italia dal 1865 al 1882, senatore a vita, nonché fondatore della Fondiaria Assicurazioni, presidente della Cassa di Risparmio di Firenze, impegnato tra l’altro nel settore elettrico e ferroviario. Fu anche archeologo sulle proprie terre, portando alla luce la famosa fibula Corsini, tesoro di gioielleria etrusca, conservata al Museo Archeologico di Firenze. Con un atto di generosità e lungimiranza cedette allo Stato italiano il Palazzo della Lungara a Roma donando le sue collezioni di dipinti, stampe e libri. Sempre qui ha sede l’Accademia dei Lincei di cui fu promotore.

Il Principe Tommaso (VIII Principe di Sismano, 1903-1980) nipote di Tommaso, partecipò alla vita politica italiana contribuendo come deputato dell’Assemblea Costituente alla carta costituzionale della Rebubblica Italiana. Grande esperto di agricoltura e di allevamenti, contribuì all'ammodernamento dei due settori in Toscana e in Umbria. Sua moglie, Donna Elena, riuscì a salvare la Galleria Corsini e molti altri tesori d'arte dai bombardamenti e dal passaggio del fronte durante la II guerra mondiale.
Il figlio Filippo IX (1937) e attuale Principe di Sismano, è sposato con Giorgiana Avogadro di Valdengo e Collobiano. È padre di Duccio (1964), Duca di Casigliano, sposato con Clotilde Trentinaglia de Daverio, dalla cui unione sono nati Filippo, Elena Clarice e Selvaggia; di Elena Sabina (1966) sposata con Brando Quilici da cui Corso; Nencia (1969), sposata con Benedetto Bolza, da cui Giorgiana, Nerina, Vita, Olimpia, Geza; Elisabetta Fiona (1969) sposata con Diego di San Giuliano, da cui Leone, Neri e Zara Boatto e Fiamma, Fabiola e Lucio di San Giuliano.

La nuova generazione


History

The Corsini family’s history


Believing in the future, working hard and even taking the risk when the market requires resourcefulness: an ‘all-Florentine’ lesson that the Corsini family learned successfully when they arrived in Florence from Poggibonsi at the end of the 1100s. Initially, they were merchants and then bankers, often finding their way into political and religious careers.
Andrea Corsini (born in Florence in 1302 and died in Fiesole on Epiphany in 1374), Bishop of Fiesole in 1373, was canonized three centuries after his death (Sant’Andrea, 1624) while Pietro Corsini followed Pope Urban V into exile in Avignon as a Cardinal, and supported the Pope’s return to Rome.

At the beginning of the 15th century, the banking crisis, which had been caused by the insolvency of Edward III, forced Matteo Corsini to recover his position in England thus returning to Tuscany where he invested in land.
Economic solidity was achieved with Filippo and Bartolomeo Corsini who estabilished a bank in London in the 16th century, as well as having organized a postal service capable of delivering letters to Florence in less than three days. They were responsible for the accumulation of a vast protected wealth in real estate and land ownership entailment (perhaps, having come from Great Britain, they had been inspired by trusts to protect their great wealth).
Bartolomeno (1622-1685), son of Filippo who had made his fortune in England, and his son Filippo (1647-1705) were responsible for the construction of Palazzo Corsini on the Lungarno built in what is now referred to as Florentine Baroque style. The two Florentine Palazzos – one on the Lungarno and the other in Via del Prato – mark the intensification in the family’s relationship with the art world in the 17th century. The chapel in the Chiesa del Carmine, dedicated to Sant’Andrea Corsini, was built during the first half of the century, while the Galleria Gentilizia, where many works of art were preserved, was developed in the Palazzo which dominates the Arno river.
The family’s triumph is dated 1730 when, after four months of Conclave, Lorenzo Corsini (1652-1740) ascended to the papal throne, which he held for ten years, as Clement XII. He was a patron of the arts and a cultivated man; his having been chosen pope was also determined by his acquired qualities and knowledge in the field of finance. Above all, he is remembered as the founder of the Capitoline Museums and patron of the Trevi Fountain, of the new façades of San Giovanni in Laterano and Santa Maria Maggiore, the construction of the Palazzo della Consulta in Rome as well as the ports of Anzio, Ravenna and Ancona.

Pope ClementBartolomeo, one of the Pope’s favourite nephews, held the position as Commander of the Roman Cavalry, became the Viceroy of Sicily and Grande of Spain.
In the 19th century, the political mandates entrusted to representatives of the Corsini family multiplied, before, during and after the Restoration up to Tommaso Corsini, who was a deputy of the Regno d’Italia from 1865 to 1882, a life senator, as well as the founder of Fondiaria Assicurazioni, and President of the Cassa di Risparmio di Firenze. Among other things, he was involved in the electricity and railway sectors as well as being an archaeologist on his own lands: he brought the famous Fibula Corsini, a treasure of Etruscan jewellery, to light. It is now kept in the Archeological Museum of Florence. With an act of generosity and far-sightedness, he gave the Palazzo della Lungara in Rome to the Italian State and donated his entire roman collection of paintings, prints and books. The Accademia dei Lincei, which he founded, still has its premises in this location.
           
Principe Tommaso (VIII Prince of Sismano, 1903-1980) nephew of Tommaso took part in Italy’s political life as a Constituent Assembly deputy for the constitution of the Italian Republic. As an expert in agriculture and breeding, he contributed to the modernization of these two sectors in Tuscany and Umbria. His wife, Donna Elena, managed to save the Galleria Corsini and many other treasures from bombardments and the crossing of the front line during World War II.
Their son, Filippo IX Prince of Sismano (1937), is married to Georgiana Avogadro di Valdengo e Collobiano. He is the father of Duccio (1964), Duca di Casigliano, married to Clotilde Trentinaglia de Daverio, with their three children, Filippo, Elena Clarice and Selvaggia; Elena Sabina (1966) married to Brando Quilici with their son Corso; Nencia (1969), married to Benedetto Bolza, with their children Giorgiana, Nerina, Vita, Olimpia, Geza; Elisabetta Fiona (1969), married to Diego di San Giuliano, with her children Leone, Neri and Zara Boatto and Fiamma, Fabiola and Lucio di San Giuliano.

The new generation