sabato 18 febbraio 2012

CHIANTI " LA VINIFICAZIONE "

Sono molto antiche, precisamente del 913 d.C., le pergamene ritrovate nella chiesa di Santa Caterina a Lucignano dove si parla di vinificazione in Chianti. Abbiamo notizia che nel 1023 a Grignano nella giurisdizione di Firenze furono concesse terre lavorative e vignate a un colono impegnato a migliorarle. E negli stessi anni i signori di Brolio - i Firidolfi da cui discesero i Ricasoli - fecero piantare le viti sulle pendici sottostanti al loro castello.
Nell'epoca del sorgere dei Comuni, il commercio del vino fu un'importante fonte di ricchezza, tanto che a Firenze nella seconda metà del Duecento, fra le arti minori fu fondata quella dei Vinattieri accompagnata dall'apertura di sempre nuove osterie dove gustare e punti vendita dove commerciare il vino. Il consumo del vino in questi anni non è più limitato alle tavole signorili, ma entra nell'uso popolare, presente in tutte le mense, considerato un alimento indispensabile, anche quando ci si doveva accontentare di un acquarello ottenuto dalla seconda e terza spremitura dell'uva; era un integratore di un cibo spesso scarsamente energetico e insufficiente.
La quantità in cui veniva consumato il vino in ogni ambiente sociale era - a partire dal XIII secolo - in costante aumento ovunque, nonostante fosse soggetto a tasse sempre più alte e quindi a continui rincari.
Ma il termine Chianti comparirà solo alla fine del XIV secolo: prima il vino toscano era denominato vermiglio se rosso e vernaccia se bianco. Certo è che già nel catasto fiorentino del 1427 venivano rigorosamente distinti da tutti gli altri vini toscani quelli prodotti nel "Chianti con tutta la sua provincia" perché giudicati superiori (a parte i bianchi di alcune località del Valdarno superiore). Anche prima di chiamarsi Chianti, del resto, il vino prodotto in questa zona era rinomato per un processo di vinificazione inventato poco dopo la metà del Trecento da due fiorentini e che consisteva nell'aggiungere al vino appena svinato una piccola percentuale di uva passita e di farlo rifermentare per ottenere un vino purissimo. Erano previsti inoltre albume d'uovo, mandorle amare e sale per chiarificare, pepe e petali di rosa per conferire un bel colore.
Un decisivo passo nel campo della tecnica produttiva avvenne grazie agli studi sulla vinificazione di Giovanni Cosimo Villifranchi che ci lasciò utili notizie nella sua opera Oenologia toscana (1773). Ci informa che "l'uva deve essere in buona parte Canaiolo nero con qualche quantità di San Gioveto, di Mammolo e di Marzimino", precisando le eventuali sostituzioni, il "governo" per il quale si usava il mosto sostituito, negli anni in cui il vino risultava troppo aspro o di colore troppo intenso, con il Canaiolo bianco o col Trebbiano perché il vino doveva essere "di un color di rubino molto pieno".
Precisazioni necessarie perché - scrive il Villifranchi - "molti per sete di guadagno e per non disdire le richieste tagliarono il vino Chianti con vino d'altri luoghi", tanto che fu necessario prendere la saggia risoluzione "di non lo spedire altrimenti in botti ma bensì in fiaschi".

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